Quel che si ostenta qui è una “qualità” della scrittura di Springsteen. Muoversi, senza rotture, con disinvoltura, tra i campi del secular e del religious. Infondere, catturare la vita – esprimere le sue cadute, le sue speranze quotidiane – dentro e con un tessuto di simboli, immagini, figure trasparentemente religiose. Springsteen, però, non decide né per l’uno né per l’altro, la sua scrittura si muove in quello spazio di indistinzione tra secular e religious, tende gli orli di secular e religious fino a farli toccare, li spinge a sconfinare, a ibridarsi, contaminarsi. Uno restituisce, specchiandolo, l’altro. La liberazione è qui, è ora. La fede è convocata davanti «alla magia della notte». La salvezza è inseguita su un treno. La luce di Dio avvolge una stanza da letto. La «prova vivente della misericordia di Dio» è agguantata tenendo tra le braccia un figlio.
La trascendenza è racchiusa in un «tu e io». Le gambe di una donna sono il paradiso. «La salvezza dei personaggi di Springsteen – ha scritto Jeffrey B. Symynkywicz parlando di Devils & Dust – quando arriva, arriva non dalla fuga dal mondo ma dall’immergersi totalmente, compassionevolmente, nel mondo, nel qui e ora». Per restare all’album del 2005, quello che accomuna il soldato con in braccio un fucile «così lontano da casa», il padre di Long Time Comin’ che «viaggia con una nuova mappa» e balla sulla sua «vecchia anima morta», i protagonisti di Leah o di The Hitter, l’uomo devastato dai rimpianti di All the Way Home, è l’assunzione piena di una lotta per salvare un frammento della propria umanità, nella quale le due dimensioni del religious e del secular non si elidono ma si incrociano. «In ogni brano di Devils & Dust – ha raccontato lo stesso Springsteen – c’è qualcuno impegnato in una battaglia spirituale tra il peggio e il meglio di sé, questa lotta attraversa tutto l’album ed è ciò che dà radicamento [its grounding] in una dimensione spirituale [in the spirit]». L’io narrante di Leah ha in una mano un martello (hammer) e nell’altra una lanterna. Il martello può costruire, ma anche distruggere. La lanterna può illuminare, ma anche incendiare. «Sono le nostre scelte – chiosa Symynkywicz – a trasformarle in benedizioni o in maledizioni». Lo storytelling di Springsteen non mira a svelare il mistero, ma a incarnarlo nelle vite che canta. Non mira a sciogliere il secular e il religious, ma a rendere trasparente la loro cucitura.
Per narrare il rapporto conflittuale tra padri e figli, l’anello di ferro della colpa che si trasmette «ineluttabile come la pioggia», sceglie di farlo attraverso il prisma delle figure di Adamo e Caino (Adam Raised a Cain). Per costeggiare l’irreparabilità della perdita, di «una distanza che non può essere colmata», si rifà alla solitudine di Gesù al Calvario (Jesus Was an Only Son). Per cantare la ferita del dolore, ricorre alla simbologia della Croce (I’ll Work for Your Love). Per contrapporsi al disgregarsi della comunità, fa riecheggiare l’invito evangelico ad «amarsi uno con l’altro» (Jack of All Trades), per chiamare alla lotta contro l’ingiustizia addita l’esempio di Gesù quando «caccia i mercanti dal tempio» (Rocky Ground). Mediata dal patrimonio degli Spiritual – che il rocker riattualizza nell’esperienza delle Segeer Sessions – la Bibbia costituisce, per Springsteen, una sorta di pre-testo sul quale il cantante si appoggia per costruire la sua formidabile narrazione americana.
Ma da dove arriva questa “disposizione”? Quale origine anticipa questo deposito di immagini e simboli? Da dove arriva questa capacità di cucire le due dimensioni del secular e del religious? Attraverso quali mediazioni, attraverso quali passaggi approda fino a Springsteen? L’intero catalogo del Boss mostra contatti, analogie, apparentamenti consistenti con la «teologia nera» così come si è trasfusa nel gospel. È dal grande corpus dei gospel che Springsteen eredita alcune delle tensioni che non smettono di elettrizzare la sua opera: la spinta alla liberazione individuale (prima), collettiva (poi). Il farsi della comunità attraverso e nella musica vissuta come dedizione reciproca tra cantante e pubblico, come coappartenenza fusionale tra l’artista e il suo seguito. La ricerca del padre (e del Padre).
È in Jesus Was an Only Son che l’irreversibilità della perdita appare in tutta la sua lacerante intensità. Maria è una madre come tutte le altre, e come tutte culla il suo bambino, promettendogli che starà al suo fianco, che «nessuna ombra, nessuna oscurità, nessuna campana a morto» turberanno i suoi sogni. Ma Maria dovrà imparare che non potrà opporsi al compimento di un destino e che nessuna facile consolazione potrà soccorrerla.
C’è una perdita che non può essere compensata
Una meta che non può essere raggiunta
Una luce che non troverai in un altro viso
Un mare la cui vastità non può essere abbracciata.
Tutto il brano è intessuto di immagini che dicono la solitudine di Cristo. Cristo è solo mentre sale sul Golgota, è solo sulle colline di Nazareth, è solo nel giardino di Getsemani, è solo quando desidera allontanare la «coppa della morte dalle sue labbra». Ma la solitudine di Gesù, accolta da Springsteen fin dal titolo del brano, ha qualcosa di ambivalente, di sdoppiato, che al tempo stesso la mitiga e la rende più cruda. Perché al fianco del figlio, c’è sempre la madre. C’è solo la madre. Jesus Was an Only Son è allora un inno dolente – ha notato Azzan Yadin-Israel – alla «presenza materna e all’assenza paterna».
Land of Hope and Dreams raccoglie un’intera tradizione musicale. Il brano è una sapiente riscrittura del gospel This Train e del brano This Train is Bound for Glory di Guthrie. La canzone lega alcuni motivi tipici della produzione di Springsteen: un uomo e una donna, un viaggio, un treno, la redenzione. Che il brano abbia uno spessore, un’apertura escatologica lo conferma il verso conficcato nella seconda strofa: «questo giorno sarà l’ultimo». E ancora: la luce che splenderà «domani», «l’oscurità che retrocederà», la fede che «sarà ricompensata» immettono in un territorio religioso, dentro una semantica religiosa.
«La terra di sogni e speranza» verso la quale corrono le «grandi ruote di ferro», non è appannaggio della sola coppia. Qui Springsteen si distanzia dal suo “modello” Guthrie. Per l’autore di This Land is Your Land la salvezza è riservata «ai santi ai giusti»: «i ladri, i bugiardi, i giocatori d’azzardo» non salgono sul «treno che corre verso la gloria». Sul treno cantato da Springsteen ci sono, invece, tutti: «buffoni e re», «santi e peccatori», «puttane e giocatori d’azzardo», «perdenti e vincitori». La salvezza non ammette tagli o esclusioni, fratture o pedaggi. La salvezza, cantata da Springsteen, è inclusiva, chiama tutti, interpella tutti, accoglie tutti. È una salvezza che conserva, intatto, il suo ancoramento alla terra. Come nel brano Kingdom of Days, il regno non espelle dalla storia, non sconfina dalla quotidianità, non rincorre distanze impercorribili. È il qui e ora, è la trama (umana) dei giorni.
Luca Miele
tratto da “Il vangelo secondo Bruce Springsteen”