Il rapporto tra padre e figlio in Bruce Springsteen, la dicotomia sul senso del dolore in John Lennon e Bob Dylan, l’affannosa ricerca di un qualcosa che dia veramente senso alla nostra esistenza e la ribellione come espressione del sé. C’è tutto questo nel libro “Il vangelo secondo il rock” edito da Claudiana editrice e scritto da Max Granieri e Luca Miele con prefazione di Antonio Spadaro.
Massimo è un caro amico sacerdote. Ci lega un’affinità elettiva. L’amore per i libri e per la musica, la curiosità di conoscere e informarsi, il desiderio di confrontarsi non scadendo mai nel banale. Ho letto, dunque, tutto d’un fiato questo suo primo lavoro realizzato insieme al giornalista dell’Avvenire. Vi ho trovato storie e visioni di artisti che amo (Jeff Buckley su tutti), ma anche di personaggi che sento più lontani come Woody Guthrie, ispiratore di Dylan e Springsteen di cui, in realtà, conosco poco. Quando chiudi un volume ed hai voglia di approfondire su internet qualcosa che ti ha colpito o appassionato, allora il libro è riuscito nell’intento di rendere l’esperienza della lettura non passiva, ma vita vera, reale, capace di generare un’influenza su di te. Nel momento in cui scrivo queste righe, infatti, ad accompagnare le mie riflessioni è la musica di Robert Johnson. E dire che fino a ieri avrei messo solo un po’ di punk.
“Svincolato dal punk, ho sognato un futuro, desiderato la libertà che ho finalmente raggiunto, scegliendo il sistema di Dio”. Questa frase di Massimo è straordinaria. Primo, perché rompe con la convinzione che seguire Gesù rappresenti un grosso limite nella vita di una persona, secondo perché ne rivela il fascino. Cos’è dunque la libertà? Per Miele non abita certamente nelle fabbriche, luoghi del padre terreno. “Il regno dei protagonisti delle canzoni giovanili di Springsteen è la strada, la corsa solitaria, slegata da ogni vincolo. La loro vita può essere solo giocata, azzardata, rischiata nelle corse in auto, come accade in Racing in the Street. Nel mondo della strada, non si affaccia nessun padre, non c’è traccia di via adulta, c’è solo la relazione orizzontale tra pari, tra i figli. Incapaci di abitare la casa, espulsi dalla strada, i padri sono relegati nella fabbrica (Factory). La fabbrica è il luogo del padre. Alla fabbrica si accede varcando dei cancelli: la fabbrica è un luogo svuotato di libertà”. Per i due autori la libertà non è neanche presente nel paese della libertà per antonomasia, gli Stati Uniti d’America. E a svelarlo è Johnny Cash.
“Il genio di Cash è qui: nell’aver abitato la contraddizione americana. La contraddizione di un popolo che ha esaltato come nessuno aveva fatto prima la libertà praticando però la schiavitù che elegge l’individualismo a valore fondativo e si strugge nel segno della comunità perduta”. I musicisti di cui Massimo e Luca seguono, nel libro, echi e suggestioni, sono o sono stati dei ribelli e nel rapporto con Dio hanno manifestato sentimenti forti di rabbia, stanchezza, malessere, ma anche di speranza e abbandono totale. “Dietro ogni cosa bella c’è un qualche tipo di dolore” (Not Dark – Bob Dylan). C’è dolore, dunque, anche nella strada che porta alla libertà.
Io ho sempre amato il rock per la sua capacità di renderci liberi, di mandare a quel paese qualcuno, di ribellarci alle ingiustizie e ai soprusi, di essere fuori le righe. Forse non è così anche Gesù?
Lory Biondi, giornalista
via Facebook