In «Respect» la storia della regina del soul dalla discesa agli inferi alla rinascita
Se fossi un insegnante di religione porterei in classe il Catechismo della Chiesa Cattolica e l’Inferno di Dante, proiettando alcune scene del film Respect che narra di Aretha Franklin, la regina della soul music. Sì, perché quel film potrebbe, a scuola, aiutare ragazzi in difficoltà, anime silenziose che non ce la fanno più a combattere e di cui conosciamo dolori, cadute e sconfitte. Quel film insegna a resistere agli urti della vita e a rialzarsi, ad attraversare indenni qualsiasi inferno confidando in sé stessi e in Qualcuno.
I film biografici sulle leggende musicali abbondano al cinema e sulle piattaforme in streaming: Elvis, Gli Stati Uniti contro Billie Holiday, Moonage Daydream di David Bowie, prossimamente Whitney: Una Voce Diventata Leggenda sulla vita di Whitney Houston. Il film Respect ha qualcosa in più: la grazia divina che agisce, che precede e raggiunge Aretha, salvandola. L’elemento della grazia innestato nel film trascende la prevedibile narrazione cinematografica, uguale e identica per ogni biopic: talento naturale che si sviluppa in famiglia o in un coro gospel, i primi contatti con l’industria discografica, la fatica nel centrarsi in uno stile musicale più o meno originale, il raggiungimento del successo e l’impegno sociale, rapporti familiari che s’incrinano, la discesa agli inferi e l’ascensione.
La rinascita interiore di Aretha è l’aspetto più interessante di un film quasi scontato, se non fosse per il talento dell’attrice protagonista Jennifer Hudson, scelta dalla stessa Aretha per interpretarne il ruolo. Del personaggio fa emergere quel carattere spigoloso che la custodì in momenti difficili.
Aretha patì sofferenze tremende come un abuso sessuale subìto da bambina, inframmezzate da gioie passeggere che segnano il suo percorso umano e musicale. Il marito e suo primo manager Ted White la picchiava selvaggiamente. Il filo conduttore del film è la ricerca della pace tra dolori e felicità che s’alternano scena dopo scena. San Francesco d’Assisi la chiamerebbe «perfetta letizia». Guardando Respect, si percepisce una tensione positiva che scartavetra l’anima increspata della cantante, bruciata al crogiuolo per essere purificata e redenta.
Al numero 1999 del Catechismo è scritto che la grazia di Cristo è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla. Il padre C. L. Franklin, un pastore battista simile ai ministri di Dio contraddittori che albergano i romanzi di Marilynne Robinson, accusa la figlia d’essersi allontanata dal Signore e di aver consegnata l’anima al demonio. Aretha scoprirà tardi delle violenze del padre sulla madre. Diventa la peggiore nemica di sé stessa. Sprofonda nel baratro delle dipendenze, crolla a terra sul palcoscenico durante un concerto in Georgia nel 1967. Presagio di mali e sciagure che la segneranno per diversi anni. Eppure, per chi ha fede, il dolore è preannuncio di una gioia più grande. La vita e la morte s’inseguono, al peccato sovrabbonda la misericordia. Infatti, in Aretha la grazia esplode in tutta la sua potenza grazie alla fede in Dio mai spenta del tutto.
«La fede, anche quando si disegna come un percorso in pieno sole, non cessa di avere una condizione notturna», scrive il cardinale José Tolentino Mendonça nel libro Una grammatica semplice dell’umano. La sintesi perfetta di un cammino verso la Luce che Aretha inizia nel momento peggiore. Ormai alcolizzata, crolla di fronte al ricordo di un dolore mai espresso, la morte prematura della mamma, cantante gospel che si separò dal marito quando Aretha aveva sei anni. Una sofferenza che s’intreccia alla morte di Martin Luther King, amico fraterno della famiglia Franklin. La scomparsa di Mlk in lei riapre vecchie ferite. Diventa più arcigna e aggressiva con tutti. Impegnandosi per i diritti civili dei neri d’America, quasi dimentica la sua famiglia. La stella del soul non splende più.
Di notte, mentre piange e beve supplicando Dio di aiutarla, sogna la madre Barbara. Le viene in soccorso. Ricorda una pagina dell’Inferno di Dante, lì dove nel secondo canto santa Lucia e Beatrice soccorrono il poeta, chiedendo a Virgilio di aiutare Dante ad attraversare la selva oscura. Una donna e una santa, madri che scendono fino agli inferi e salvano. Come Dante che pronuncia il suo «Miserere» al Signore, Aretha piange e beve, supplicando Dio di aiutarla. La mamma, abbracciandola e consolandola, le sussurra versi del canto popolare Amazing Grace: «Meravigliosa Grazia / Che lieta novella / Che ha salvato un miserabile come me / Un tempo ero perduto ma ora sono ritrovato / Ero cieco / Ma ora ci vedo». E tra le lacrime, in ginocchio e in braccio alla madre, Aretha Franklin recita il Padre Nostro. Ritrova l’amore divino, si riconcilia con sé stessa, accetta il dolore, ritorna alla vita.
Non c’è scena più manifesta in un film in cui, sommando la musica alla spiritualità, vien fuori la salvezza. Aretha nel 1972 inciderà un disco gospel, non a caso dal titolo Amazin Grace, per corrispondere alla grazia ricevuta, ringraziare il Signore e resistere alle tentazioni. Punterà i piedi con il suo discografico Jerry Wexler per registrare in una chiesa battista di Los Angeles in California un album che diventerà nei decenni un riferimento per tutti gli artisti e musicisti interessati alla religione. Rimase per molti anni l’album gospel più venduto cantato da una donna. Alla luce di questa redenzione, le sue canzoni più celebri — in realtà della cover che superano in bellezza i brani originali — acquistano un senso ancora più profondo, vedi Respect e (You Make Me Feel Like) A Natural Woman.
Nel 2013, in seguito ad una grave malattia, dichiarò alla stampa che la sua guarigione fisica fu miracolosa: «Stavo parlando con Smokey Robinson, il mio grande vecchio amico Smokie, del fatto che certi dottori non hanno molta familiarità con la guarigione per fede. E Smokie rispose: “Beh, non sanno chi è il tuo guaritore”». Aretha era ciò che cantava, disse al mondo che Dio sostiene i suoi figli nella prova, quel Vangelo che salvò la sua vita e la sua carriera.