In Italia, nel mondo della critica musicale, è stata operata una censura che ha distorto nei lettori la concezione stessa della musica rock. Il bellissimo libro scritto a quattro mani da Massimo Granieri (sacerdote passionista, notissimo in Rete per i suoi interventi di critica musicale) e Luca Miele (giornalista di Avvenire e autore, sempre per lo stesso editore, dello splendido Il Vangelo secondo Bruce Springsteen), lo spiega molto bene, riposizionando i cardini per una critica musicale onesta e omnicomprensiva, forse una po’ tardivamente visto che la musica rock appartiene ormai al passato (Il vangelo secondo il rock; Claudiana, 170 pag., 14,90 euro). Ma in questo modo apre lo spazio per una riconsiderazione della critica passata che ha censurato un aspetto fondamentale della musica rock stessa, quello religioso.
Esplicito è il primo capitolo, “In principio era Patti Smith”, scritto da Granieri, che non censura nulla delle due posizioni, quella del cattolicesimo tradizionalista che ha sempre considerato il rock “la musica del diavolo” e quella dell’ideologia marxista che negli anni 70 ebbe buon gioco a prendere il sopravvento. Chi scrive ricorda ancora la noia terribile delle allora riviste musicali, per due terzi dedicate al jazz obbligatoriamente italiano, in perfetta modalità autarchica, considerato “avanguardia” e perciò di sinistra, per un terzo alla politica e per qualche riga al rock perché essendo musica americana era di fatto musica capitalista da abbattere, come i Santana e i Lou Reed sui nostri palcoscenici con le bottiglie molotov. Granirei non nasconde nulla: “L’anticlericalismo preistorico della critica italiana è fastidioso, la stampa specializzata occulta ogni riferimento alla spiritualità e affranca la musica da influenze cristiane invece evidenti”. E dall’altro campo: “Il giorno prima della comunione fui interrogato sul catechismo: che fece Gesù Cristo per salvarci? La risposta: ‘non lo so, non sapevo di essere in pericolo’. L’immagine del Padre buono fu nascosta sapientemente dai catechisti, bisognava innanzitutto temere i suoi castighi (…) Patti Smith venne in soccorso anni dopo (…). La discografia di Patti Smith è una mappatura del cammino spirituale dei cosiddetti lontani. Un frate agnostico fa meno discepoli di una rock star che crede in Dio. Comunque è Lui a svelarsi prende l’iniziativa insinuandosi tra le righe di un testo di una canzone, in una nota, in un accordo”. E quando finalmente la poté vedere in concerto: “Io e Patti adesso sappiamo che Gesù è morto per la nostra felicità, il Signore ebbe la pazienza di aspettare che ce ne convincessimo. Mentre la band chiudeva il brano (Gloria, ndr) Patti guardò in cielo dicendo: Thank you Jesus! e io a completare frase: perché sei morto per i nostri peccati”.
Aprire lo sguardo critico in questo modo permette allora di accorgersi chi sia stato davvero Johnny Cash: “Uno sguardo (il suo, ndr) mai pacificato, ma anzi sempre in bilico, sempre inquieto, sempre sofferente. Sempre struggente. Perché la pienezza, l’adesione alla Parola è sempre cercata, mai raggiunta. Sfiorata, mai posseduta. La quiete nella fede è sempre minata, la pace sfuggente, l’approdo sempre rimandato, assediato dal peccato. E’ la ‘qualità’ della vita e dell’opera di Cash: essere, entrambe, macerate”. Cosa questa inaccettabile anche per qualunque buon cristiano che pensa di essere stato salvato una volta per sempre. Così come permette di capire cosa ci sia dietro e dentro la “follia” di Tom Waits: “Dio è qui dietro l’angolo, dentro la storia, vagabonda tra gli ubriachi, i derelitti, girovaghi. Lotta, geme, si agita, beve persino. E’ un Dio assediato, imbattuto, costretto in un confronto perenne con il suo avversario, il diavolo”.
Nel bellissimo capitolo di Miele dedicato a Springsteen si parla di teologia del Padre: “Che cosa si trasmette da padre e figlio? Quale eredità il primo consegna al secondo? Ogni rapporto tra padre e figlio è ritmato da un movimento ondulatorio: rivolta e fedeltà, emulazione e desiderio di affrancamento, urgenza di essere riconosciuti e consapevolezza dell’ineluttabilità della separazione (…) E’ l’abbozzo di una teologia del Padre o della sua assenza. Perché tra padre terreno e Padre celeste nelle canzoni di Springsteen si apre uno scambio, un transito, un passaggio, una trasmigrazione”.
Potremmo continuare con le citazioni: nel libro ci sono capitoli dedicati anche a Janis Joplin, John Lennon, Bob Dylan, Dave Matthews. Ma bisogna leggerselo. Quello che è da sottolineare è che questo libro apre una nuova era nella critica musicale italiana. Ma quanti giornali ne parleranno e quanti giornalisti dalla preconfezionata ideologia sapranno ammettere che l’elemento religioso nel rock è fondamentale?
Va segnalata poi l’introduzione di padre Antonio Spadaro, “il gesuita più rock del mondo”, oggi direttore di Civiltà Cattolica, in passato autore di studi sorprendenti su Flannery O’Connor e il debito che Springsteen ha verso di lei: “La Bibbia deborda nei versi di Bob Dylan, costeggia l’opera di Woody Guthrie, preme nella teologia del Padre di Springsteen, sostiene la poetica di Johnny Cash, urla nella furia di Patti Smith, rabbrividisce nella sofferenza di Jeff Buckley. La Bibbia ri-suona costantemente, tenacemente, intimamente nella canzone rock. Grido, invocazione, lode, contesa, affrontando, giudizio, interrogazione, preghiera, bestemmia sono le forme che di volta in volta questo ri-suonare assume”, scrive.
La sfida è aperta, chi la saprà raccogliere?
Paolo Vites – ilsussidiario.net